comunicato 097/2013 indice news
GdP 16-06-2013
CASA ITALIA
PRIMA I MURI, POI I COLORI
di Aldo A. Mola
La Costituzione-più-bella-del-mondo è in coma procurato. La nomina stessa della Commissione per la sua revisione l’ha dichiarata una cara estinta. Bella, ma imbalsamata. Non basta più dare una rinfrescata alle pareti del Tempio. Bisogna riedificare i muri portanti. Vedere il Sancta Sanctorum. Verificare se l’Italia sia solo un’espressione geografica, un accampamento, o è un’Idea che nell’Otto-Novecento si è fatta Realtà con un milione di caduti in guerra, milioni di feriti, mutilati, prigionieri, orrori e sperperi, ma anche orgoglio e riscatto. L’Idea c’era. E ora?
Per comprendere la sfida del presente è necessario uno sguardo al passato. Tra il 1929 e il 1931 tra lo Stato d’Italia e la Chiesa cattolica venne combattuta una battaglia campale della lunga guerra per “fare gli italiani”. L’11 febbraio 1929 i Patti Lateranensi chiusero il contenzioso di un passato ormai remoto. L’annessione dello Stato pontificio da parte del regno di Sardegna (poi d’Italia), tra il 1859 e il 1870, non si risolse in “debellatio”, cioè nell’azzeramento totale del “potere temporale” dei Papi. A differenza di quanto si erano proposti i giacobini nel 1798, Napoleone nel 1808 e i costituenti della Repubblica romana nel febbraio 1849, con i Patti Lateranensi la Terza Italia riconobbe lo Stato della Città del Vaticano. Però non abdicò affatto al proposito di “fare i cittadini”. Anzi, il 12 settembre 1929 il Ministero della Pubblica Istruzione fu denominato “dell’Educazione Nazionale”. Il suo titolare, Giuseppe Belluzzo, già deputato democratico, ingegnere, docente universitario e massone, venne sostituito col filosofo Giuliano Balbino, nativo di Fossano, massone a sua volta. Al sottosegretario per gli affari ordinari fu aggiunto il sottosegretariato per l’Educazione fisica e giovanile, affidato al fascistissimo Renato Ricci, che lo tenne sino al 27 ottobre 1937, quando le sue competenze vennero assorbite dalla Gioventù Italiana del Littorio.
Contrariamente a quanto temevano Benedetto Croce e i liberali, nel febbraio 1929 lo Stato non delegò affatto alla Chiesa la formazione dei giovani (ovvero dei cittadini). Il governo Mussolini, anzi, ingaggiò la battaglia frontale per sottrarre all’Azione Cattolica gli spazi che questa si era via via conquistati anche su terreni non esclusivamente o preminentemente catechistici: l’associazionismo ricreativo e sportivo. Lo scontro giunse al culmine con lo scioglimento dei circoli dell’Azione Cattolica (marzo-agosto 1931). Papa Pio XI rispose con la pugnace enciclica “Non abbiamo bisogno”. L’armistizio fu suggellato dalla visita di Mussolini in Vaticano. La vicenda è magistralmente ripercorsa da monsignor Piero Pennacchini, Officiale nella Segreteria di Stato vaticana, in La Santa Sede e il fascismo in conflitto per l’Azione Cattolica (Libreria Editrice Vaticana), corredato da un centinaio di documenti inediti.
Nel 1931 la Chiesa stava facendo i conti con la marea dilagante di filosofie geneticamente anticristiane: il comunismo della Terza internazionale, al potere nell’URSS e all’offensiva negl’imperi coloniali; il nazionalsocialismo montante in Germania; la Repubblica spagnola, accentuatamente anticlericale; il regime in vigore in Messico, duramente persecutorio contro i “cristeros”, su cui torna l’alessandrino don Fabrizio Casazza in Il dito nel Sole. Religioni e costituzione in Messico (Libreria Editrice Vaticana). La Santa Sede si sentiva sotto assedio; doveva difendersi su molti fronti. In Italia apparvero sotto luce nuova gli avversari di un tempo: i liberali, allarmati per l’identificazione tra governo e Stato nel regime di partito unico, e la Monarchia. Lo Statuto risultò, qual era, il bastione delle libertà proprio perché enunciava l’uguaglianza dei cittadini dinnanzi alle legge e la libertà dei culti (art.24). Nei decenni da Michele Coppino a Giovanni Giolitti lo Stato aveva rifiutato di ergersi a catechista. Ma proprio dopo i Patti Lateranensi, il regime pretese di forgiare il cittadino: anima e corpi. Nei Sacri Palazzi nessuno si era strappato le vesti quando i liberali erano stati travolti dagli errori propri e dalla tracotanza del nazional-fascismo: agli occhi dei clericali rimanevano impeciati da alleanze elettorali con democratici e socialriformisti cresciuti nei “blocchi popolari” d’inizio Novecento, privi di filosofia. Anche Casa Savoia era demonizzata perché aveva annesso lo Stato pontificio e ratificato la statizzazione dei beni ecclesiastici. Era tempo di revisione e conciliazione vera, eppure, benché avessero tanti nemici in comune, le distanze fra la Chiesa e i liberal-monarchici furono ridotte ma non vennero colmate. Se ne videro le catastrofiche conseguenze quando all’interno del partito unico prevalsero le componenti originariamente repubblicane e fondate sul primato dello scientismo: terreno di convergenza tra ideologie non solo diverse ma persino opposte, cementate nel nazionalcomunismo all’italiana. Dal 1937 la Gioventù Italiana del Littorio e il nuovo Regolamento del Partito nazionale fascista accelerarono l’attuazione della pedagogia del regime. Tra i Vati di quegli anni (d’Annunzio, Pirandello, Marinetti…) i più rimasero assopiti o deliranti. Nessuno parlò chiaro e forte.
Quei precedenti non sono o non dovrebbero inutili per riflettere sulla riforma della Costituzione ora affidata a una commissione di saggi (con aggiunta di tecnici), di cui non si sentiva alcun bisogno (nel 1946-47 i costituenti furono autosufficienti). La sua preoccupazione preminente, dettata dal Quirinale e dal governo Letta, si circoscrive alla corteccia della vita nazionale (numero dei componenti delle Camere e rispettivi poteri, configurazione e prerogative degli organi costituzionali, in costanza, però, della forma repubblicana, che è all’origine di tanti guai), mentre il dibattito sulla cittadinanza scade a questione amministrativa, a una carpetta di “certificati”.
L’esperienza dell’Otto-Novecento ha insegnato che lo Stato è, come Minerva, un dio polimorfo e polivalente. A differenza di quella di Achille, la sua lancia spesso ferisce ma di rado guarisce. Lo Stato dell’età liberale seppe darsi misura, arginarsi, guardarsi dalla tentazione dell’onnipotenza, perché aveva un disegno, una “cultura”: la legge garante della libertà di tutti. Lo Stato super partes. Anche Giuseppe Garibaldi ripeteva che prima si edifica la casa, poi si discute sui colori da darle. Ma qual è oggi l’identità della “Casa Italia”? Solo tasse e rendiconti a poteri esterni? Oltre la corteccia vi è il tronco, la linfa, la vita: l’anima della Storia. Ma oggi quell’anima, almeno nel caso della Casa Italia, pare smarrita… La ritroveranno i giovani? Lo fecero due secoli orsono. La storia procede come un fiume carsico. Per ora si vedono soprattutto pietre e sabbia. Poi, chissà.
Aldo A. Mola