comunicato 115/2013 indice news
GDP 28 LUGLIO 2013
CATASTROFI NATURALI ED ERRORI UMANI
L’ITALIA DEGLI INQUIETI
“Siamo umani, siamo umani! Spero non ci siano morti perché cadranno sulla mia coscienza”. E’ il lamento del macchinista che spingeva l’Alvia al doppio della velocità consentita. Aveva quattro minuti di ritardo a tre chilometri da Santiago di Compostela. Bilancio: quasi ottanta morti e centottanta feriti. Senza bisogno di terroristi. Al bombardiere che sganciò l’atomica degli Stati Uniti d’America su Hiroshima bastò premere l’ultimo pulsante. Sapeva di lasciarsi alla spalle una scia di morti. Quanti? In coda all’ Enola Gay vide alzarsi il primo “fungo” annientatore, replicato a Nagasaki. Il rovello della strage gli scavò dentro. Non altrettanto accadde al presidente americano Harry Truman, numero uno della trafila che impartì l’ordine e lo ripeté su Nagasaki. Un crimine mai scontato. Voleva atterrire l’ex seminarista Stalin, che (ricorda Emanuele Mastrangelo in “Storia in Rete” ora in edicola) invece profittò del crollo nipponico per dilagare in Manciuria e Corea. Eterogenesi dei fini.
Ci sono catastrofi e catastrofi. Alcune “naturali”, altre “umane”. Le prime arrivano quando arrivano. In Italia si rischia grosso sia a predirle, sia a sminuirle. E’ il caso della prossima eruzione del Vesuvio. Tutti sanno che è nelle cose, ma è vietato parlarne. La prima categoria di catastrofi comprende i terremoti che da sempre scuotono l’Italia, affetta dal diastrofismo della crosta terrestre e pertanto devastata da scosse sismiche: tettoniche, di assestamento, sprofondamento e vulcaniche. Il Bel Paese è gran madre di biade e cavalli, ma inquieta. Il Tirreno sprofonda più dell’Adriatico, l’Appennino s’impenna. Le Alpi, invece, secondo studioso piemontese di primo Ottocento sarebbero “un riparo contro la furia del tremendo tremuoto”. Non è affatto vero. Nell’aprile-maggio 1808 l’arco alpino dalla Val Susa al Saluzzese fu scosso per 40 giorni da scosse accompagnate da “sordi rumori, fuochi volanti sulle cime dei monti, acqua torbida e lattiginosa”. Crollarono campanili e chiese. Nel celebre Dizionario storico-statistico il canonico Goffredo Casalis registrò centinaia di sismi registrati negli Stati di Terraferma di Sua Maestà il re di Sardegna, un’isola indenne da terremoti. Tutte le storie locali del Sette-Ottocento traboccano di ricordi di scosse telluriche: a mònito della precarietà dell’uomo dinnanzi alle incontrollabili forze della natura: semplicemente “portentose” secondo i pagani, castighi di Dio nella visione biblica. Dopo Voltaire la celebrazione della Città dell’Uomo ha cancellato l’incubo del terremoto. E’ una forma di rimozione, segno di cattiva coscienza: illusione di dominare gli eventi. Eppure una rapida spolverata alle cronache dei tempi andati, come fa Paolo Golinelli in Terremoti in Val Padana. Storia attualità (ed. Mursia, tra i meritevoli candidati all’Acqui Storia), ricorda la lunga serie di devastazioni che hanno colpito l’Italia da un capo all’altro nel corso dei millenni: a Modena nel 92 avanti Cristo, a Brescia nel 1065, nell’intera Padania nel 1117 e nel 1222, dal Veneto e a Bologna nel 1348, l’anno della Peste Nera, e poi a Monza (1396), Reggio Emilia (1465), ancora Bologna (1504), Ferrara (quasi rasa al suolo nel 1570), a Milano nel 1755 e nuovamente a Rimini, nel 1783, tre anni dopo lo spaventoso sisma delle Calabrie (non citato da Golinelli), che spinse l’abate Antonio Jerocades a lanciare un appello alla fratellanza universale e a farsi iniziare alla rivoluzionaria Madre Loggia massonica di Marsiglia. Le rovine di Bussana e Ceriana, presso San Remo, sono ancora lì a testimoniare il terribile effetto del tremuoto liguro-piemontese del 1887. Era il mercoledì delle Ceneri. La sismologia scientifica aveva quasi un secolo di progressi, ma qualcuno ancora vi vide il Dito dell’Onnipotente che agisce anche attraverso il Maligno.
Non è però solo il ventre della Terra a generare catastrofi. Lo fa anche quello dell’umanità, sempre fecondo di sciagure. Ne vediamo i frutti ogni giorno: guerre, crisi finanziarie, conflitto tra scienza, organizzazione tecnologica e controllo degli strumenti allestiti da tanti Dottor Faust dilettanti, illusi di essere “dèi”. L’“errore umano” è in agguato ovunque: una diagnosi superficiale, una sentenza avventata o pilotata, le “bollette pazze”, la fiscalità fine a se stessa. Esso è la punta dell’iceberg che affonda negli abissi della stupidità criminale di governanti ottusi. Vanitosi e supponenti, sempre più separati dalla realtà, in troppi non prevedono perché non vedono. Brancolano tra una “crisi” e l’altra; si trascinano dall’una all’altra guerra, nell’illusione di mettere le ganasce al cammino della storia. Ma i popoli sono come la crosta terrestre. Si muovono poco a poco come le placche continentali. Prima o poi la faglia cede e le contraddizioni esplodono. Non perché lo dicano economisti e filosofi, teologi vaganti e politicanti, ma perché così avviene nei tre regni della Natura: minerale, vegetale e animale. Di quest’ultimo è parte l’Umanità, invano alla ricerca dello Spirito perduto… Chiuso in chissà quale “caveau”.
di Aldo A. Mola