RAI EDUCATIONAL: GIOLITTI E L'ETA' GIOLITTIANA
A RAI3 E RAI STORIA
LUNEDI' 3 MARZO GIOLITTI E L'ETA' GIOLITTIANA
A RAI3 E RAI STORIA
Lunedì 3 marzo 2014 la puntata di “Il Tempo e la Storia”, programma di approfondimento di RAI STORIA, prodotta da RAI EDUCATIONAL e diretta da Silvia Calandrelli, è dedicata a Giolitti e all'età giolittiana.
La puntata va in onda dalle 13.10 alle 14 su RAI 3, alle 20.30 su RAI Storia (canale 54 del Digitale terrestre) e sul canale 23 Tivù Sat.
Tra il 1901 e il 1914 - anticipa il comunicato stampa di RAI Storia - Giolitti esercitò un'effettiva egemonia sulla vita politico-parlamentare del Regno d'Italia, promuovendo profonde riforme in ogni settore: economia, società, sanità, infrastrutture. Dedicò anche attenzione all'assetto dello Stato, alle amministrazioni locali, all'istruzione di ogni ordine e grado e alla tutela dei lavoratori. Spicca, tra altre, il conferimento del diritto di voto politico ai maschi maggiorenni, anche se analfabeti.
Il programma si apre con la formazione di Giolitti tra la Provincia Granda, Torino e Firenze e con una breve “visita” alla Casa Giolitti-Plochiù in Cavour, guidata dal prof. Aldo A. Mola, direttore del Centro europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato e biografo dello Statista.
Alcuni inediti documentano la personalità di Giovanni Giolitti, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri fra il 1892 e il 1921: esponente di una dirigenza che nutrì un alto “senso dello Stato”.
comunicato 030/2014 indice news
GDP SANTA ALLEANZA 2013 1 settembre
SANTA ALLEANZA: INTERVENTO, NON INTERVENTO, ANARCHIA INTENAZIONALE
di Aldo A. Mola
Nel 1815, per voltar pagina con lo sconquasso delle guerre franco-napoleoniche (1792-1815) e fondare il concerto europeo, le potenze vincitrici (Gran Bretagna, Russia, Austria e Prussia) associarono il vinto, la Francia. Ci vollero tre Trattati nel 1814 e i lunghi mesi del Congresso di Vienna, dal quale scaturì la Santa Alleanza, che in vertici successivi decise l’intervento militare per ristabilire l’ordine, cioè annientare i liberali che chiedevano monarchie costituzionali al posto di regimi assoluti. L’Austria mise in riga i liberali italiani. La Francia fece altrettanto con quelli di Spagna. La Russia ebbe mani libere per far regnare l’ordine a Varsavia. Nell’estate 1830 Luigi Filippo di Borbone-Orléans, elevato al trono da una rivoluzione senza sangue, e la Gran Bretagna decisero che i Belgi potevano staccarsi dai Paesi Bassi e costituirsi in regno indipendente sotto tutela internazionale. La Santa Alleanza rimase al palo. Allora i liberali si mossero, specie in Italia, confidando nel “non intervento”, ma la Francia lasciò campo libero alla repressione asburgica e si limitò ad occupare Ancona.
A parte l’indipendenza della Grecia e la formazione del regno d’Italia, frutto di guerre di bassa intensità, malgrado tensioni e conflitti periferici (dai quali sorsero Romania, Bulgaria, Montenegro), in Europa la pace resse sino al 1914. Lo scossone della guerra franco-germanica del 1870-71 indusse anzi a scaricare la gara per l’egemonia nella conquista degli spazi coloniali extraeuropei. Dopo la Grande Guerra per spegnere subito nuovi possibili incendi e arginare le rivoluzioni venne istituite la Società delle Nazioni, che funzionò poco e male. Non decise alcun intervento significativo, non fermò le guerre e nel 1935 deliberò le sanzioni economiche ai danni dell’Italia quando Roma invase l’Etiopia, membro della Società stessa. Le Nazioni Unite dal 1945 avocarono il potere di interventi militari e ne attuarono molti. Ma altre missioni di pace furono decisi da soggetti diversi, come la Nato, strumento militare dell’Alleanza Atlantica, e dal Patto di Varsavia (in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia). Ora si registra uno stallo, sia dell’ONU, sia di coalizioni multilaterali. Nella Comunità internazionale dilaga una pericolosa anarchia.
Torino, prima capitale d’Italia, ospita il XXXIX Congresso della Commissione Internazionale di Storia Militare per approfondire il rapporto tra “governo mondiale” e “interventi multilaterali”. Il tema è di scottante attualità, mentre alcuni governi si affannano a procacciare base legale alla ritorsione (a quale titolo?) contro al-Assad (su quali certezze e con quali rischi?). Ma per gli storici, esso ha millenni di precedenti. La riflessione sulla politica vera, cioè sul rapporto tra la diplomazia e le armi, come insegnò Clausewitz, vi si snoda infatti dalle Guerre del Peloponneso alla spedizione degli aghlabidi in Sicilia (827-909), dalla guerra di successione sul trono di Vienna (1741 -48) a una quantità fantasmagorica di “episodi” . Paese ospite dell’importante Congresso scientifico, realizzato con l’impegno degli Uffici Storici della Difesa (col. Matteo Paesano), dell’Esercito (col. Antonino Zarcone), della Marina ( C. V. Francesco Loriga) e dei Carabinieri (ten. Col. Flavio Carbone), l’Italia partecipa con docenti prestigiosi, quali Virgilio Ilari, Alessandro Barbero, Pietro Crociani e molti giovani ricercatori, alcuni dei quali già affermati, come Federica Saini Fasanotti, finalista del Premio Acqui Storia e autrice di un’ eccellente opera edita dell’Ufficio Storico SME sulle Operazioni militari italiane in Libia (1922-1931).
Dalla rassegna di Torino emerge che ogni Paese ha vissuto successi ed errori. La saggistica italiana ha invece solitamente enfatizzato soprattutto le sconfitte (Novara, Lissa, Adua, Caporetto, 8 settembre…), isolandole dal contesto e oscurando le vittorie, con una lettura negativa dello “strumento militare”. E’ quanto emerge, per esempio, da Generali di Domenico Quirico (che auspichiamo torni presto libero agli studi) e da molte opere di Nicola Labanca e altri seminatori di cupo pessimismo, dimentichi che dall’Unità le Forze Armate sono state con la pubblica istruzione la vera fucina della Nuova Italia Nuova e concorsero a liberare i cittadini dalla sottocultura fondata sulla superstizione, come ha documentato Oreste Bovio nella poderosa Storia dell’esercito italiano, ora riproposto dall’Ufficio Storico SME.
Quel passato fa aprire gli occhi sul presente. La Camera inglese ha rifiutato l’attacco militare alla Siria. Ancora una volta l’Inghilterra impartisce una lezione. E’ una monarchia costituzionale. La più antica d’Europa. Alle spalle ha la Magna Carta e l’habeas corpus, due pilastri della civiltà liberale. Da secoli il governo inglese non può decidere spese senza l’approvazione dei contribuenti e i cittadini non possono essere arrestati senza un’imputazione formale.
Si discuterà a lungo su questa svolta. Ci si domanderà se i deputati inglesi abbiano deciso solo per motivi giuridici (la mancanza di prove sicure dell’uso di armi chimiche da parte di el-Assad) o anche per interessi (i complessi rapporti economici tra Londra e il mondo arabo-islamico). Quel che conta è che il Parlamento ha rivendicato la propria sovranità sulla politica estera: un caposaldo della sua lunga fortuna degli inglesi, esaminata da Ottavio Bariè nei saggi raccolti da Massimo de Leonardis in Dall’Impero britannico all’Impero americano (Le Lettere), mentre ora l’egemonia degli USA risulta appannata, lontana dal ruolo di guida sicura dell’Occidente, come lo stesso Bariè osserva in Dalla guerra fredda alla grande crisi (il Mulino), finalista all’Acqui Storia. Proprio il declino dell’egemonia di Washington apre spazi alle frenesie di Stati di seconda e terza fila, smaniosi di protagonismo, come la Francia di Sarkozy e di Hollande.
Anche in Italia dalla Grande Guerra la centralità del governo politico della forza quale pilastro della democrazia fu il terreno di scontro fra due concezioni dello Stato. Di una fu interprete maturo Giovanni Giolitti che dall’agosto 1917 chiese a viso aperto di trasferire dalla Corona al Parlamento l’approvazione dei trattati internazionali e soprattutto il potere di dichiarare guerra. Non l’ottenne. Fu così che nel 1940 l’Italia venne buttata una seconda volta nella fornace di una guerra generale dall’andamento poi rovinoso, senza che alcun Istituto rappresentativo fermasse Mussolini: una catastrofe di cui paghiamo e pagheremo le conseguenze. Quei precedenti ci ricordano che dal 1848 al 1946 l’Italia fu monarchia costituzionale con poteri asimmetrici; dal 1946 scelse di essere una repubblica parlamentare, ma in troppi casi il Parlamento ratifica decisioni delicate assunte altrove. La verifica del corretto equilibrio tra i poteri avviene nelle ore supreme, quando ci si deve domandare se il Paese, sul quale ricadono le decisioni dell’esecutivo, concordi davvero con le decisioni del governo e sia disposto ad accollarsene il peso. Fu la domanda che si pose il ministro della Guerra Domenico Grandi nell’ottobre 1914: un dubbio “giolittiano”. Venne sostituito. Forse una conferenza di pace dell’ultimo minuto, un maggior sforzo della diplomazia avrebbe fermato la concatenazione di ultimatum e di dichiarazioni di guerra: che si sa come iniziano, mai come finiscano. Ma ormai la Santa Alleanza era solo un ricordo. Per di più esageratamente odioso (*).
Aldo A. Mola
(*) Il XXXIX Congresso della Commissione Internazionale di Storia Militare si svolge al Centro Congressi di Torino dal 2 al 6 settembre. Alle 17 di oggi (domenica 1 settembre) alla Biblioteca Universitaria è inaugurata la mostra “I volti dei Militari Italiani”.